La nascita della parrocchia di San Carlo

Nascita della parrocchia di San Carlo e costruzione della Chiesa, della Sacrestia e della Casa Canonica.

Nell’autunno inoltrato del 1938 un gruppo di persone, una ventina, guidato da don Giuseppe Mistrello, inviato del Vescovo Monsignor Carlo Agostini, si trova nella abitazione del Professor Antonio Maniero, arcellano d’antica famiglia, per fissare le basi per la fondazione della nuova parrocchia di San Carlo Borromeo. Quando escono da questo incontro vedono la prima neve che interpretano come “una sensibile e immacolata conferma mandata dal cielo”.

Le motivazioni della nascita di questa nuova parrocchia stanno nell’improvviso e crescente aumento demografico della zona finora affidata all’unica parrocchia di Sant’ Antonio dell’Arcella, assicurando così un’assistenza spirituale adeguata agli abitanti della zona. In quello stesso anno, in visita alla “case minime”, sovrappopolate da famiglie ridotte alla miseria materiale e spirituale, Il Vescovo assicurava:

“Voi mi chiedete un pane atto a saziare il corpo: ebbene, io vi prometto che vi darò anche un altro Pane benefico alle anime.”

L’acquisto del terreno la progettazione e la costruzione della nuova chiesa viene sostenuta integralmente dal Vescovo, Sua Eccellenza Monsignor Carlo Agostini. Egli affida all’Architetto Lorenzo Faccioli la progettazione e direzione della costruzione mentre sarà la ditta “Ferraro” a realizzare le opere.
Non c’erano strade di accesso pertanto fu eroico il lavoro per provvedere al trasporto del materiale edile attraverso viuzze di fortuna, incerte e fangose.
Compiuto il lavoro di muratura, si aggiunsero subito numerosi lavori di completamento e rifinitura interna: intonaco, tinteggiatura in calce delle pareti, costruzione del pavimento sopraelevato di un metro dai campi circostanti.
“Rapidamente sorse il bel tempio che ora ammiriamo e benediciamo e che spiccò in mezzo al verde dei campi, con la sua mole in stile del più sereno rinascimento e di interno grandiosità romana”.
Contemporaneamente sorsero la Casa Canonica e la Sacrestia con un’ampia sala soprastante che sarà l’unico ritrovo parrocchiale per lunghi anni.

Il primo parroco, don Egidio Bertollo

Foto di don Egidio Bertollo
Foto di don Egidio Bertollo

Ai primi di Ottobre del 1940, mentre è cappellano ad Este, Santa Tecla, don Egidio Bertollo, sacerdote di 29 anni, viene invitato a presentarsi in Curia. Il Vescovo Monsignor Carlo Agostini, ricevendolo gli dice:

“In novembre sarai delegato vescovile della nuova parrocchia di San Carlo, composta per la quasi totalità di operai e contadini, senza contare gli sfrattati che non sono pochi.
Ti consegno le mura e il tetto di una chiesa ampia e solenne come una cattedrale. Il resto devi farlo tu. Anche se i tuoi parrocchiani sono poverissimi, sono certo che ci riuscirai.
Tu sei il mio conterraneo: San Martino di Lupari è contiguo a Tombolo; chi nasce in quella zona sa come muoversi nelle situazioni economiche più precarie.
La Divina Provvidenza e San Carlo ti siano propizi.”

Don Egidio avrebbe risposto:

“Eccellenza, Lei è il mio generale e niente è più bello per un soldato di andare dove il generale vuole. La ringrazio della stima e dell’onore.”

Così inizia l’avventura di Don Egidio nella nuova parrocchia di San Carlo che si concluderà con la morte avvenuta dopo 32 anni di servizio.
Il 28 gennaio o il 25 maggio 1941 viene nominato parroco, ma solo il 27 giugno 1943 fa l’ingresso solenne e l’immissione in possesso.

L’inaugurazione della chiesa

Nell’anno in cui l’Italia aveva dichiarato guerra all’America, all’Inghilterra e alla Francia e già si faceva sentire l’effetto delle sanzioni che 51 stati d’Europa avevano decretato contro noi italiani, alleati alla Germania nazista, in questo clima di spaventosa incertezza nasceva la nuova parrocchia di S. Carlo.

Era la domenica 10 novembre 1940, una giornata autunnale, triste e nebbiosa, ma non per gli abitanti della zona di S. Carlo, che vivevano un clima di grande e gioiosa attesa per l’inaugurazione della nostra nuova Chiesa, progettata dall’architetto Lorenzo Faccioli.
Nel pomeriggio, verso le ore 15, arrivò il Vescovo Monsignor Carlo Agostini, costruttore della nuova chiesa, accompagnato da Monsignor De Zanche, che era stato rettore del Seminario di Padova ed ora novello vescovo di Montefeltro; i prelati vennero accolti da una folla plaudente. Erano i nuovi i parrocchiani di San Carlo e molti altri, venuti dall’Arcella con il parroco Padre Bressan.
Partecipava anche una folta schiera di autorità civili e religiose intervenute per assistere al grande avvenimento.
Faceva gli onori di casa il nuovo Parroco don Egidio Bertollo, 29 anni, proveniente dal duomo di Este, dove era stato cappellano per cinque anni.
Il sagrato e la chiesa erano strapieni di folla. A stento il corteo religioso che accompagnava il Vescovo poté raggiungere l’altare, piccolo e disadorno, che si perdeva nell’immensità del presbiterio.

Nel più religioso silenzio dei fedeli, con la preghiera di rito, il Vescovo diede inizio alla cerimonia della benedizione.
Salì quindi sul grande pulpito (colonna di sinistra rispetto a chi guarda verso il presbiterio, ora non più presente) e rivolto alla folla sterminata che riempiva chiesa e piazzale, commosso e contento, pronunciò un travolgente discorso: incitava a dar vita con grande fervore alla nuova parrocchia, a stare uniti al giovane parroco in tutte le sue iniziative e condividendone le preoccupazioni, in modo da diventare presto una vera e grande famiglia.

Una grande ovazione salutò le ultime parole del Vescovo che concludeva l’indimenticabile cerimonia.
Ad un certo punto si aprì il finestrone della grande loggia della facciata della Chiesa ed ecco che, accompagnato dal nuovo parroco apparve il vescovo, solenne negli abiti episcopali: gioioso e sorridente allargava le braccia in ampi gesti di saluto e di benedizione e guardava commosso tutta quella folla, che arrivava fino a via Tiziano Aspetti.

Il suo “grazie” il popolo di S. Carlo lo manifestò con possenti “Evviva!” e un festoso sventolio di fazzoletti, mentre il vescovo con la sua benedizione chiudeva l’indimenticabile giornata.
Aveva così dato il via alla nuova e promettente vita della nostra cara e amata parrocchia di S. Carlo.
Prima di andare consegnò al parroco, come suo dono, una preziosa reliquia di San Carlo, quale segno del suo particolare affetto per noi e come perenne ricordo dello storico avvenimento vissuto in quel giorno.

In mezzo al verde della campagna che tutta la circondava, la Chiesa si presentava bellissima e monumentale. Sembrava quasi una cattedrale.
Il Vescovo Monsignor Carlo Agostini l’aveva voluta così in omaggio al suo grande patrono, per il quale nutriva ammirazione e devozione.
Aveva anche previsto, con lungimiranza di grande pastore quella che in futuro sarebbe diventata la parrocchia di San Carlo per il grande sviluppo della nostra zona.
Oggi, dopo 50 anni, possiamo affermare che il vescovo fu un vero profeta, poiché San Carlo è diventata una delle più grandi e popolate parrocchie della Diocesi di Padova, costretta nel corso degli anni a smembrarsi più volte, dando vita ad altre parrocchie come San Gregorio Barbarigo, San Bellino, Buon Pastore, Cristo Risorto e San Filippo Neri.

Se vista da fuori la chiesa appariva bellissima, nell’interno era tutta un’altra cosa: bella e maestosa sì, ma vuota, fredda, spoglia e mancante di tutto.
Un piccolo altare di legno ornato alla meglio con qualche candela donata in prestito: questo era tutto l’addobbo dell’immenso presbiterio che, come tutta la chiesa, aveva il pavimento ancora fresco di gettata.
Alcuni vecchi banchi, così come qualche paramento rovinato dal tempo e quanto altro occorreva per celebrare la messa giornaliera, arrivarono dalla chiesetta di Ca’ Magno. Dalla stessa chiesetta venne ereditato anche un bellissimo e antico Crocefisso in legno, che era da sempre molto venerato: venne intronizzato nella sacrestia fin dal primo giorno.
Tutta l’illuminazione della chiesa era costituita da quattro misere lampadine e l’unica protezione era garantita dalle bellissime porte di ferro, che però in inverno lasciavano passare tutto il freddo.
Non vi era neanche una sedia: tutti, piccoli e grandi dovevano rimanere in piedi.
L’arciprete della cattedrale Monsignor Schievano, che aveva avuto don Egidio come suo cappellano mentre era arciprete abate mitrato ad Este, mosso a compassione da tanta povertà e spinto dall’amicizia che lo legava a don Egidio, prestò alla Chiesa alcune cose di prima necessità: qualche vecchio candelabro, un ostensorio, un turibolo con navicella e un secchiello per l’acqua santa, qualche vecchio drappo rosso per i matrimoni e altrettanto in nero per i funerali.

Il viale della chiesa consisteva ancora in un piccolo viottolo ricavato in mezzo ai campi di grano, perciò si arrivava in chiesa quasi sempre malconci, specialmente quando pioveva e quelli di via Tiziano Vecellio dovevano fare il giro per via Tiziano Aspetti, poiché mancavano altri sbocchi.
Venire in chiesa a San Carlo costituiva per molti un gesto eroico; altri, e non erano pochi, dopo le prime esperienze negative continuavano a frequentare l’Arcella, in quanto era più comoda e più invitante con le sue tradizioni, specialmente quando le sue otto campane suonavano a festa, richiamo potente che portavamo ancora tutti nel cuore.
Il nuovo parroco di questo soffriva molto e con tutta la passione e lo slancio della sua giovane età studiava nuove iniziative per eliminare tali inconvenienti.
A poco a poco la maggioranza cominciò a frequentare la nostra parrocchia di S. Carlo, anche se meno attraente e più povera, poiché avevano capito che questa era la nostra nuova famiglia e poiché erano attratti anche dal grande fervore di opere, che il nuovo parroco si accingeva a compiere col consenso e l’entusiasmo di tutti.

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